Continua la serie di presentazioni qui sul blog. Oggi conosciamo Lea (sì, solo Lea. L'autrice si firma così. Non so se sia il suo nome d'arte o cosa...) e il suo romanzo Di te non ho paura.
La vita non è semplice per nessuno, nemmeno per un demone. Egli, infatti, si nutre della paura degli esseri umani, è grazie ad essa che non scompare nel nulla. Ultimamente però sta riscontrando dei problemi, i bambini, che erano la sua ultima fonte di speranza, non sembrano più nemmeno accorgersi della sua presenza, vivono la loro vita attaccati allo schermo del telefono, senza mai alzare gli occhi, e non provando paura, il povero demone rischia di non esistere più. Dopo la morte del suo migliore amico, uno zombie di nome Frankie, decide che è arrivato il momento di darsi da fare, e smetterla di piangersi addosso. Cercherà in tutti i modi di spaventare due adolescenti senza un briciolo di cervello, si troverà a concorrere con un gruppo di spaventatori esperti che gli daranno del filo da torcere. Stringerà perfino un patto col Diavolo pur di raggiungere il suo scopo. E alla fine ci riesce, capisce la chiave di tutto. L’unica cosa che importa davvero alla persone d’oggi è la tecnologia, portargliela via è l’unico modo per far cadere l’umanità nel terrore più assoluto. Ed è proprio quello che farà.
L'autrice.
Ama passare il pomeriggio sul divano a dormire o a sgranocchiare noccioline mentre guarda serie televisive. Venera i libri fantasy e fantascientifici come divinità e no, non è dotata di vita sociale.
Siccome non ho avuto né modo né tempo di fare qualche domanda all'autrice (anche se vorrei proprio sapere in che modo è stata scelta la copertina del libro...), concludo con un breve estratto che Lea stessa ha deciso di regalarci.
Anche questa sera proverò a spaventare un bambino, i suoi genitori sono a cena fuori e nessuno può badare a lui. Mi addentro nella casa, è davvero un bel posto. Sono in camera del ragazzino, ma è vuota. È tutto buio, tranne per una luce bluastra proveniente dal salotto. Mi avvio in punta di piedi verso di essa. Sporgo leggermente la testa attraverso lo spiraglio della porta e vedo che sta giocando alla Play Station, una delle mie nemiche più grandi, insieme a tutti gli altri apparecchi elettronici. Faccio un enorme respiro e mi costringo a pensare positivo. Posso farcela, ripeto a me stesso. Apro la porta, la quale cigola. Sorrido per un attimo sperando che questo possa suscitare interesse nel bambino, ma è lì fermo immobile che gioca. Sta giocando a un gioco in cui devi sparare a degli zombie, le sue mani tremano dagli spasmi. Mi avvicino all'interruttore della luce e lo accendo. Niente. Il bambino non sembra essersi accorto di me, continua a fissare quello schermo luminoso imbambolato, la bocca spalancata e lo sguardo spento nel vuoto. Inizio a battere il piede nervosamente contro il pavimento, deve pur esserci un modo per farlo accorgere di me. È seduto per terra, a meno di trenta centimetri dal televisore, mi chiedo come faccia a non essere già cieco.
Sperando di avervi incuriositi almeno un pochino, vi aspetto alla prossima!
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